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Nuove tecnologie in chirurgia vertebrale: i trattamenti “mininvasivi” La lombalgia è una malattia di estrema frequenza e di estrema importanza sociale. Se ci riferiamo ai paesi anglosassoni solo orientativamente, si calcola che in Inghilterra ogni anno circa 14 milioni di pazienti richiedano un consulto medico per dolore lombare. Di questi circa 20.000 sono costretti a ricorrere al trattamento chirurgico per la risoluzione o la attenuazione del dolore. |
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Nella maggior parte di questi casi all’origine del dolore vi è una
degenerazione del disco intervertebrale. Le cause della degenerazione del
disco non sono del tutto conosciute, per lo più vengono invocate cause
genetiche non ancora note ma è verosimile che una alterazione
dell’equilibrio vascolare e biochimico interno al disco sia all’origine
della patogenesi delle discopatie. A ciò si aggiunga che il disco intervertebrale è sottoposto continuamente a sollecitazioni massimali e ripetute; secondo vari studi di biomeccanica è dimostrato che il disco lombare sopporta l’82% del carico complessivo che insiste sul rachide. Sino ad epoca recente l’unico trattamento possibile della patologia del disco consisteva nella “artrodesi” vertebrale. In pratica, con varie tecniche, si otteneva una completa sostituzione del disco mobile oramai degenerato e incapace di sostenere il carico con una solida fusione ossea. Naturalmente questa è una soluzione estrema, ancora valida in molti casi, che risolve il dolore discogenico ma ad un prezzo, e cioè la perdita di movimento di quel segmento di moto. Inoltre tale procedura è realizzabile solo con una grande incisione ed estese dissezioni legate alla necessità di posizionare i mezzi di sintesi necessari a fissare le vertebre fra di loro (viti e barre) ed a creare un supporto meccanico alternativo al disco degenerato con l’ausilio di protesi posizionate fra le vertebre (cages) di vari materiali (titanio, carbonio, tantalio, Peek ecc). La retrazione estesa del tessuto muscolare determina un più lento recupero funzionale, una riduzione della forza muscolare con denervazione cronica e un aumento dell’incidenza di lombalgia post-operatoria. |
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Negli ultimi dieci anni la chirurgia del rachide ha fatto enormi progressi,
La gamma di sistemi e tecniche oggi a disposizione del chirurgo e quindi del
paziente sono veramente molteplici e oggi siamo veramente in grado di
affrontare le varie patologie in maniera graduale con armi proporzionate
evitando così quelle temibili situazioni di “over-treatment” che talvolta si
verificavano per la scarsità di mezzi a disposizione. Da un lato in
alternativa ai sistemi di fusione “rigidi” si sono sviluppati vari sistemi
cosiddetti “dinamici” o di “non fusion” che fissano il segmento di moto
malato senza comprometterne la mobilità. Di pari passo si è però anche
sviluppato il concetto della mininvasività tanto che oggi possiamo parlare
di MIS (Minimally Invasive Spine Surgery). Nel 1997 i chirurghi Foley e Smith introdussero l’uso della discectomia microendoscopica MED (Micro Endoscopic Discectomy) permettendo la realizzazione di una decompressione lombare e della asportazione dell’ernia discale per via endoscopica. Il passo successivo è stato quello di adottare la tecnica per l’esecuzione di artrodesi e fissazioni di viti di sintesi peduncolare per via percutanea. Oggi è possibile posizionare con tecniche mininvasive viti transpeduncolari, eseguire stabilizzazioni rigide e dinamiche, effettuare discectomie e decompressioni sia per via posteriore che anteriore addominale. Si possono posizionare le viti con delle piccole incisioni sulla pelle controllando la progressione del posizionamento con controlli radiografici intraoperatori evitando di mantenere i tessuti molli divaricati per lunghi periodi con possibile loro sofferenza. Con tale procedura il paziente può essere messo in piedi in seconda giornata e rapidamente dimesso con un busto leggero che porterà solo per alcune settimane. Ma un altro grande capitolo riguarda le tecniche percutanee che consentono di trattare le ernie discali e che consentiranno di prevenire la degenerazione del disco. Certamente nel 90 per cento dei casi la lombalgia si cura con un adeguato stile di vita e con tecniche di riabilitazione specifiche come ad esempio la Back School, ma qualora il paziente presenti una sintomatologia persistente associata a dolore radicolare da più di tre mesi resistente ai comuni trattamenti è richiesto l’intervento del chirurgo che oggi può essere veramente “miniinvasivo”. Il trattamento dell’ernia discale con Laser Percutaneo, PLDD (Percutaneous Laser Disc Decompression) è una realtà già da alcuni anni. La procedura consiste nell’introdurre una fibra ottica nel disco sotto controllo radiografico con un semplice ago. Il disco può essere trattato, in day hospital in anestesia locale, ottenendo la vaporizzazione del nucleo polposo ed una riduzione della protrusione discale con liberazione della radice nervosa. In questi casi la ripresa delle attività è pressoché immediata. Altra metodica innovativa di trattamento del disco intervertebrale degenerato utile a ridurre il rischio di futuri interventi chirurgici consiste nell’Autotrapianto Intradiscale di Condrociti, ADCT (Autologous Disc Chondrocyte Transplantation). La tecnica consiste nell’effettuare un prelievo di materiale discale da un disco degenerato ma ancora vitale che può essere effettuato durante una discectomia o con un normale ago da biopsia. Il materiale prelevato viene inviato in poche ore presso un laboratorio di riferimento europeo attualmente in Germania, dove i condrociti sono stimolati a rigenerarsi in multiple culture sino a quando dopo circa due mesi vengono reimpiantate all’interno del disco con una semplice introduzione percutanea con ago. Uno studio sperimentale multicentrico prospettico, controllato e randomizzato ha dimostrato che grazie a tale procedura si ottiene la formazione di un tessuto formata da collagene e proteoglicani che formano una parte importante della matrice del disco intervertebrale. Dopo due anni i pazienti hanno dimostrato una significativa riduzione della lombalgia e della perdita di altezza del disco intervertebrale rispetto al gruppo di controllo. Questo si traduce in una maggiore resistenza meccanica del disco e un rallentamento della sua degenerazione. Oggi siamo in grado di proporre questa soluzione, naturalmente nei casi selezionati, al paziente lombalgico. Forse davvero otterremo presto una “biologica riparazione” del disco intervertebrale? Il futuro sembra essere veramente alle porte. |
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Per informazioni Dott. Mauro Costaglioli | ||||
Trattamenti mininvasivi in chirurgia vertebrale possono essere effettuati anche a Napoli dal dott. Giuseppe Ambrosio |
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