Un breve ricordo del prof. Collice
E’ lunedì mattino 23 novembre 2009, dopo un WE fuori Milano stamattina mi
preparo per tornare a lavoro, reparto di Neurochirurgia Ospedale Niguarda. Oggi
sono di Ambulatorio e posso accompagnare le mie bambine a scuola ed all’asilo
con un poco più di calma. Cerco il cellulare che solitamente di notte, quando
non sono reperibile, resta spento sotto carica. Eccolo sul comodino al solito
posto, lo riaccendo e si illumina l’icona che è arrivato un messaggio di notte.
Lo apro in un atto automatico senza particolare curiosità, poi noto che è del
collega che ha fatto notte e cerco istintivamente di rassicurarmi di non essere
stato reperibile. Infatti non sono reperibile ed il messaggio recita: “alle 4 e
venti Collice ci ha lasciato. Adesso è in camera mortuaria al Niguarda”.
E dal mese di settembre che so che il mio Primario è stato colpito dal quel male
che più di ogni altro umilia proprio la nostra professione medica mostrandone
tutta la sua impotenza e umanizza il nostro lavoro costringendoci a sperare di
ottenere gratitudine anche nel fallimento. E’ dal mese di settembre che penso
anche al mio primo Maestro Paolo Conforti anche lui colpito dallo stesso male.
Ma ancora non mi sembra vero. Vivo continuando a lavorare e cercare riflessioni
meno superficiali o scontate che mi aiutino trovare una serenità per affrontare
colleghi, infermieri, pazienti e parenti di pazienti che mi chiedono come sta il
dott. Collice, ma soprattutto vorrei entrare nella sua stanza dove è ricoverato
e dirgli qualcosa, qualunque cosa, senza rimanere impalato a sottolineare con il
mio silenzio l’inesorabilità degli eventi.
Ho lavorato 10 anni con il prof. e sono volati. Ho conosciuto aspetti di un
neurochirurgo che ha realizzato sogni che tanti di noi facciamo e sappiamo che
forse resteranno tali. Lascio ad altri il compito di sottolineare i meriti ed i
riconoscimenti del suo operato o del suo curriculum vitae. In prima persona ho
vissuto anche decisioni che non ho condiviso e l’ho visto deciso e ostinato su
pozioni anche difficili da sostenere. Indiscutibilmente ha vissuto come si era
proposto ed ha affrontato in piena lucidità e coerenza anche gli ultimi momenti
della sua vita, rifiutando da ateo qualsiasi conforto religioso.
Visto che la sorte non ci ha lasciato il tempo di vederlo andare in pensione
dopo una carriera di anni da primario come pochi possono vantare, a me piace
pensare che ci avrebbe stupiti regalandoci ad ognuno ancora qualcosa di cui
essere orgogliosi per averlo conosciuto.
Francesco Iamele
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